Mons. Alberto Chiarelli

Il 19 ottobre 1983 si spegneva nella casa messa disposizione dalla Regola, mons. Alberto Chiarelli. Il suo ministero a Danta di Cadore era iniziato il 15 dicembre 1929, quando giunse da Zoppè di Cadore giovane sacerdote. Era nato ad Auronzo di Cadore il 27 settembre 1895 ed ordinato sacerdote il 25 settembre 1925. Il 14 dicembre 1968 divenne canonico onorario della Cattedrale.
Insieme a Elsa Zambelli Sopalù da principio e poi a Santina Doriguzzi Bozzo, che si prese cura della sua persona, ebbe come collaboratrice nel tenere l'archivio parrocchiale la maestra Cesira Del Fabbro. La scrittura precisa e chiara della maestra sostenne il lavoro di don Alberto quando i problemi alla vista cominciarono a manifestarsi e poi ad acuirsi sempre più portandolo alla cecità.
Così lo ricorda la maestra Cesira: «In un giorno del lontano 1929 egli faceva il suo ingresso in questa Parrocchia mentre tutto il paese era in festa e il popolo entusiasta andava incontro al suo novello Pastore quasi intuendo che sarebbe stato a lungo tra loro. Si iniziava così la sua missione fra questa gente che è sempre stata fondamentalmente sana nei suoi principi religiosi. Potranno mai dimenticare i suoi parrocchiani tutto il bene, tutta la sua completa dedizione per istruire, guidare confortare, aiutare anche materialmente questo suo popolo? Da vero pastore egli partecipò a tutte le gioie, ma soprattutto a tutti i dolori che colpivano le famiglie, ebbe sempre una buona parola per tutti quanti si rivolgevano a lui nelle tristi difficoltà della vita. Sua prima premura furono i fanciulli ai quali dedicò gran parte del suo lavoro per l'insegnamento catechistico.
Lavorò in profondità per promuovere l'Azione cattolica e far sorgere tutte le sezioni, dai fanciulli agli adulti tanto che in breve tempo queste si svilupparono a diedero i loro frutti. Fiorirono così le vocazioni religiose e sacerdotali: 4 sacerdoti, di cui uno missionario nel Madagascar e una suora carmelitana. Consumò molte delle sue energie per l'ampliamento e l'abbellimento della Chiesa che ora è un vero gioiello, si prestò per avere il suo riscaldamento nella stagione invernale e al rinnovo dell'organo che tanta vita dà alle funzioni religiose col coro dei fanciulli. Ebbe la fortuna di trovarsi in mezzo a gente semplice, generosa, timorata di Dio e, quando molti dovettero emigrare perché questa terra è povera, non dimenticarono i suoi insegnamenti perché egli con la sua dedizione completa alla sua missione sacerdotale aveva saputo rinsaldare nei loro animi la vera concezione della vita cristiana. Li seguì sempre con la preghiera e con il Bollettino parrocchiale da lui fondato e spedito anche a chi era lontano.

Oltre al suo lavoro spirituale è stato di grande aiuto al suo popolo nella malattia correndo, se necessario, di giorno e di notte al capezzale dei malati, dando efficaci consigli a chi viene aveva bisogno. Con la sua severità paterna e bonario aiutato a non lasciar disperdere i valori cristiani da lui inculcati» Nella foto è ritratto insieme a Santina che lo assistette fino alla morte.

La scuola e la dottrina erano i due punti fondamentali per la formazione dei bambini. In canonica sono conservati centinaia di libri per piccoli con illustrazioni adeguate per far conoscere loro i grandi personaggi del passato, romanzi avvincenti che portavano esempi positivi e potevano alimentare in modo la fantasia dei ragazzi, ispirando così quella serie di sentimenti di attenzione al prossimo, di meraviglia, di virtù cristiane.
La sua preoccupazione era forte per l'educazione al punto che cercò anche la realizzazione di un asilo per l'infanzia. In canonica si conserva uno studio di fattibilità con relativo progetto di un asilo parrocchiale da realizzare a lato della canonica. Il calcio balilla fece comparsa ben presto nelle aule della canonica e le prime proiezioni seppero attrarre la gioventù. Nei primi anni del secondo dopoguerra molti dovettero fare la valigia e partire per altri paesi tra cui la Svizzera, la Francia, l'Australia e la Germania.
Le famiglie di Danta, come di altri paesi del Bellunese, erano abituate a restare senza uomini per gran parte dell'anno.




Il fenomeno nuovo era però dato dall'emigrazione femminile. Tante ragazze facevano valigia: occorreva aiutarle, sistemarle, ricordare loro le virtù cristiane, di adempiere al precetto pasquale, di non farsi ammaliare dalle mode "americane". In una nota del 12 febbraio don Alberto si appunta di aver mandato a Zurigo e a Winterthur i foglietti di catechismo. Erano le vere preoccupazioni di un formatore, che conosceva la sua gente e che conosceva come il mondo "girava" fuori del paese. Intervistando molti, ricorre la testimonianza della sua grande attenzione alle famiglie meno abbienti del paese. La benedizione delle case il più delle volte, serviva per ridistribuire le offerte sia in denaro che in beni di consumo. Anche "rubare" nell'orto del parroco non era difficile... Molti riuscivano a scappare non sempre perché più veloci del Parroco e dello sguardo della perpetua, ma perché era meglio lasciar correre. Quante lettere di dichiarazione di povertà per aiutare i padri di famiglie numerose sono partite dalla canonica e dirette verso datori di lavoro di cantieri conosciuti per via delle sue amicizie e parentele. Così pure l'attenzione ai malati: se ricoverati lontano scriveva ai cappellani dell'ospedale per avere loro notizie, inviando anche dei soldi quando le cure erano costose.




Una testimonianza

Rivedo le mille camere della vecchia Danta, piene di gente orante, di parenti in lacrime, di un’unica persona che dava certezze, che infondeva coraggio, che accarezzava benedicendo i volti pronti a seguire il grande viaggio. Lo si chiamava a tutte le ore, di notte e di giorno, tanto quando c’era speranza, quanto mentre sparivano le ultime illusioni. Don Alberto veniva, sempre, sano o malaticcio. Nessun’anima doveva lasciare questo mondo che Egli le fosse accanto. Portava con sé gli olii santi e l’Eucaristia che teneva ben stretta al petto, evitando parole superflue in quegli istanti di trepidante attesa. Poneva il tutto su quel tavolinetto che le donne di casa avevano preparato con il solo lino banco, due candele ed un Crocifisso. Parlava con il moribondo come se fosse stato un incontro tra fratelli, e sotto voce gli sussurrava le giaculatorie che quello aveva imparato fin da piccolo. Con frasi latine poco comprensibili procedeva poi al rito dell’estrema unzione. I familiari presenti ripetevano le invocazioni con tono sommesso, quasi sussurrato. Occhi lucidi di lacrime fissavano nel vuoto e solo Lui reggeva sicuro il libro su cui leggeva " le raccomandazioni per l’anima". Giungeva l’istante supremo. Il gesto benedicente di don Alberto superava l’intensità del dolore che aleggiava nella camera ed al suo "Parti, anima cristiana" il Cristo dolorante posto sul tavolinetto pareva rivivere la Sua Risurrezione, auspicio di salvezza per chi se ne era andato. Don Alberto con la neve o con la pioggia, con il sole o il temporale, fosse notte o giorno, riprendeva la sua strada verso la canonica. Quell’eterna casa sola, isolata, senza intimi affetti, ma aperta a tutti quelli che la cercavano per conforto, per condivisione di speranze, per future certezze

m.o Piero Menia